Elogio della ospitalità potrebbe intitolarsi la storia della Lift Gallery. Perché poi il discorso vero, non riferito alle parole che si dicono intorno ai fatti o agli oggetti, riguarda proprio le azioni, le comunicazioni che avvengono veicolate in un contesto, un luogo.
Un luogo è tale perché abitato, funzionalmente personalizzato dai tracciati di esperienze che vi si svolgono. Anche se incombe su tutti una perversa presenza/assenza, stereotipi dell'agire e della falsa comunicazione. Tutto è facilitato da autostrade della comunicazione facile, facile senza sforzo. Basta premere un numero e la frase è già fatta, scritta e prestampata; pre-scritta appunto, anche se con caratteri labili e velocemente cancellabili.
E allora un luogo così estraniante come l'ascensore diviene il prototipo della non-comunicazione ma anche della riflessione e della solitudine.
Non solo. Può anche essere il luogo in cui ci si affida a qualcun altro, che ti porta, ma dove?
Spesso nei miei sogni vi è un ascensore che invece di andare dove penso dovrebbe fermarsi, al primo, il secondo o l'ultimo piano, decide autonomamente di andare via dai soliti binari (in alto o in basso). Andando fuori luogo mette in atto un'altra peregrinazione, non in verticale ad esempio ma in orizzontale. Nei miei sogni chiaramente. Il luogo prestabilito, il contenitore di questo veicolo sparisce e si trasforma.
E l'ascensore dei miei sogni va oltre. Se ne va a spasso per la città e mi ritrovo ad essere portata per alcune terrazze romane lasciandomi all'improvviso in un ristorante con vista panoramica. Oppure mi ritrovo condotta in una spiaggia luminosissima a respirare una fresca brezza mattutina. Come vedete, non c'è nulla d'angoscioso ma tutto è divertente e gioioso.
Ma la cosa principale è andare fuori dei programmi già decisi, mettersi in comunicazione con qualche altra cosa. Bene è scoprire l'inaspettato. Capite benissimo quindi che la storia della Lift Gallery mi è molto congeniale. E ancora di più è il modo come la intende Adriana De Manes.
Perché vi domanderete. E' proprio come nei miei sogni. Questo ascensore va da un'altra parte. Fuori dai binari appunto. In questo Adriana De Manes ha centrato uno degli intenti della Lift Gallery: il senso di ospitalità. Se siamo ospiti già del nostro corpo questo è anche portato e presente nei luoghi quotidiani. Ad esempio la casa. L'abitare una casa è un modo di personalizzarla. Creiamo all'interno di essa un reticolato di tracce, spesso indelebili dei nostri stati d'animo, dei nostri umori.
E questi sono testimoniati da oggetti, da libri o semplicemente dal modo come lasciamo le cose vivere ed essere vissute da noi.
Il tempo della nostra quotidianità è testimoniato da questo andare e venire. In ogni caso si torna e si ritorna nei luoghi, i propri, quali la propria casa.
Si ritorna dai viaggi, dal lavoro, dagli itinerari fuori del nostro privato. E chi entra nel nostro "privato" è colui a cui è permesso di entrare. Ospitalità quindi. All'ospite che arrivava in una casa si lavavano i piedi perché affaticato del viaggio. All'ospite si offrivano le migliori cibarie.
Il tempo della nostra vita è ritmato da questi ritorni. A casa. Anche se si è nomadi ed ospiti della vita stessa, estremamente precari nel corpo e nei luoghi.
Adriana De Manes ha colto questa precarietà della vita e della sosta spostandola all'indietro.
Si parte dall'ora zero del momento dell'inizio, la coincidenza della sosta in un altro luogo, questo strambo ascensore di Via Tola, ma la presenza è la coincidenza in due luoghi dell'esistere. La sua casa di Napoli è qui, le sue piccole riflessioni e tic quotidiani sono ora qui. Ne sono testimonianza le istantanee della sua esistenza. Se noi pensiamo che il tempo vada in avanti verso il futuro, ci sbagliamo, il tempo va a ritroso. Dall'ubiquità del primo giorno si passa a quello del giorno prima, e del giomo prima ancora, sino allo zero dell'inizio che è anche la fine. La ciclicità del tempo, relazione di luoghi e di persone è quell'andare fuori dei binari, programmati prefissati che un "fare estremamente meccanico" ci potrebbe indurre a credere. Il tempo è più un reticolo che una linea retta.
Ci fermiamo ora. Ma quest'ora è già passata, slittata nel...silenzio
gabriella dalesio