Roma, sabato 18 ottobre 2003
Caro Pino,
queste sono alcune riflessioni che spero possano esserti d'aiuto nello scrivere il comunicato stampa.
Ho preferito riferirti di pensieri che saranno solo accennati nel testo ma che possono darti un'idea del mio percorso mentale, o delle cose che mi piacciono o che non mi piacciono.
L'idea che guida l'allestimento è il tentativo di trasferire il mio lavoro, prevalentemente pittorico e formalmente vincolato alla superficie, in uno spazio fisicamente più complesso (e con molti ostacoli) che richiede altre modalità tecniche e formali, per essere ridefinito. Immagina che abbia utilizzato scale, androne, ascensore e pianerottoli per ricomporre l'universo della superficie (anche se di questo universo ne stiamo cogliendo la punteggiatura più che il discorso intero).
Vorrei aderire ad un concetto di astrazione metafisica: si potrebbe anche parlare di una "metafisica iconoclasta", visto che non amo molto il significato riduttivo che nella storia dell'arte recente il termine "astrazione " ha acquisito: di questa tradizione astratta, anestetizzata e compiacente, anche se troppo spesso spacciata per impegnata, non ho mai subito il fascino. Anche il mio colore è sempre più un colore mentale, che ha a che fare con chi lo indossa o dove lo "spalmi". Inoltre, il termine iconoclasta mi mette al pari di chi, sotto l'egida della cultura della comunicazione, non fa altro che censurare quella parte di realtà che non gli piace (a proposito di iconoclastia).
Quando lavoravo le "griglie", realizzando superfici monocromatiche, era importante concepire lo spazio in cui doveva collocarsi un significato (ricreare il mistero, un luogo invisibile e perciò da proteggere). Evidentemente non concepisco l'idea senza il suo spazio dove poter vivere. Per questo motivo, ridisegnare lo spazio segreto e un percorso spirituale - come la verticalità dell'ascensore propone - ha dato luogo al confessionale. Inoltre, ristabilire un segreto e proteggerlo mi mette al pari di chi sull'omertà e sull'occultamento della storia (dell'arte) fonda il proprio potere. Come vedi, paradossalmente, pretendo di descrivere la realtà ripercorrendone i sentieri e non rappresentandola: nessuna denuncia e nessuna provocazione.
Sono mesi che sto rielaborando le mie forme dell'allestimento del pensiero, e riaffiora la memoria in modo prorompente: il confessionale, ad esempio, da bambino chierichetto, era lo spazio magico che raccoglieva tutti i segreti delle persone del mio piccolissimo paese. Diciamo che preferisco che il segreto sia confessato ma non svelato: ha valore il valore e non il suo effetto: ha valore il linguaggio e non il soggetto. Questa si è l'astrazione che mi piace!
In questo caso lo spazio quotidiano ha esaltato gli effetti provocati dall'influenza che il “domestico" ha su di me. Ho portato brani del mio privato, mai successo prima, perché questo, ne sono sicuro, aiuterà a cambiare il mio lavoro. Che resterà un lavoro di pittura, penso. Anche se, continuare a fare zerbini non mi dispiacerebbe!
Infine, se vogliamo riscontrare un tema, formale e concettuale, dietro tutta questa storia (ne abbiamo già parlato), questo tema è la croce. Perché più si guarda all'origine e più si migliora.
Gianfranco D'Alonzo