Può accadere in un ascensore di superare il disagio di intrattenersi in un luogo evidentemente saturo e soffermandosi trovare che in quell’interno gli oggetti possono apparire riconoscibili e come carichi di un’importanza tutta nuova?

ESCHE

L’opera avvolge lo stretto vano dell’ascensore come un grande makemono srotolato.
I fogli di carta kozo tinti per piegatura come si tingevano le stoffe dei kimono, formano congiunti un lungo drappo leggero e trasparente. Su di esso i segni sono tracce simili ad esche intrappolate tra i denti di un pesce gigante, mimano scritte a cui si aspetta di dare un senso o che più semplicemente si offrono alla contemplazione. Una calligrafia “buona da pensare”: un’esca per la mente.
All’esterno dell’ascensore, su ogni pianerottolo, ad ogni fermata, le scritte si fanno scrittura, poesia, svelando il disegno delle tracce trattenute all’interno, anzi, doppiandone il senso.
Un doppio binario, dentro la stasi contemplativa, fuori lo scorrere dei versi.

(le poesie sono tratte da raccolte di versi dei poeti Gabriella Pace e Luciano Taffelli)